“Sono veramente felice di lavorare con i 2PM, ma avevo bisogno
anche di un riscontro per Junho in prima persona. Volevo che le persone
mi conoscessero come Junho e non solo come membro dei 2PM.”
Q: Da quando hai debuttato come solista in Giappone, sei
molto più impegnato di prima, vero? Lì ormai sei diventato popolare come
Bae Yong Jun. (NdA: attore coreano protagonista del drama del 2002 Winter Sonata, uno fra i più celebri in Giappone)
J: Non ho ancora raggiunto quel livello (ride). L’anno scorso ho rilasciato il mio primo mini-album, Kimi no koe,
ma fino a quel momento nessuno di noi aveva la certezza che avrei
ottenuto un buon risultato. Invece, alla fine, l’album ha venduto circa
83000 copie, giusto?
Q: Alla JYPE come hanno commentato questo successo?
J: “Abbiamo sottovalutato Junho”. E in realtà la cosa è più che comprensibile: sono stato il primo ad intraprendere un tour
come solista in Giappone, e se le cose non fossero andate bene, tutto
avrebbe avuto un effetto negativo anche sui 2PM. Comunque, per quanto
assurdo possa sembrare, io non ero troppo in ansia. Pensavo che finché
avessi lavorato bene, tutto sarebbe andato come doveva. Non ero neanche
troppo preoccupato per le vendite, ma sono stato felicissimo quando ho
visto che avevo raggiunto il terzo posto della Oricon Chart.
Q: Come ti fa sentire il fatto di essere ormai conosciuto anche come il cantante solista Junho e non solo come membro dei 2PM?
J: È importante per me a questo punto della mia
carriera ed è un’occasione preziosa, ma allo stesso tempo mi fa sentire
“nudo”. Quando lavoriamo tutti insieme come 2PM, ognuno sopperisce alle
mancanze dell’altro, ed è per questo che rendiamo al meglio. Ma quando
si sta sul palco da soli, lo si è davvero, e io mi sento se mancasse
qualcosa, come se fossi un pesce fuor d’acqua (ride).
Q: Lavorare come gruppo avrà però anche dei lati negativi.
J: Una cosa è certa: gli idol group rendono al meglio
come team. Invece di focalizzarsi sulle caratteristiche di ogni singolo
componente, la priorità è quella di lavorare sempre come una squadra. È
un po’ la stessa logica valida in una squadra di calcio: non importa
quanto un giocatore giochi bene individualmente, la squadra ha bisogno
sia di difensori che di attaccanti.
Q: Come è stato lavorare in Giappone?
J: Il mio orgoglio come cantante è cresciuto molto. E
non perché non ho ancora avuto l’occasione di farlo in Corea. Ma perché
in Giappone ci sono gruppi come gli SMAP o gli Arashi, che sono
estremamente popolari da tantissimo tempo. E questo significa che c’è un
sistema forte che permette ai gruppi di idol di essere amati tanto a
lungo.
Q: Credi che riuscirai a lavorare come idol anche quando sarai più maturo?
J: È una delle mie più grandi preoccupazioni, è inutile negarlo.
Q: È per questo che hai intrapreso prima la carriera come solista e poi quella di attore?
J: Sono veramente felice di lavorare con i 2PM, ma
avevo bisogno anche di un riscontro per Junho in prima persona. Volevo
che le persone mi conoscessero come Junho e non solo come membro dei
2PM. Dopo tutto, che sia la carriera di cantante o di attore, il punto è
riuscire a mantenere alta l’attenzione pubblica. Se questa svanisce,
ogni cosa sarà stata inutile, e questo mi peserebbe. Quando sono
riuscito a mostrare al mondo quello che sapevo fare per la prima volta,
mi sono sentito realizzato, e adesso sono felice e grato di poter fare,
una ad una, tutte le cose che sognavo.
Q: Come sei entrato nella JYPE?
J: Ho preso parte a Superstar Survival, uno show simile a Superstar K.
C’erano 6500 partecipanti da tutto il mondo, e i dodici migliori sono
stati scelti e hanno seguito un programma di training per tre mesi.
Oltre a me sono stati scelti Taecyeon, Chansung, Han Sunhwa e Joo.
Q: Hai debuttato con i 2PM nel 2008, sono passati sette anni. C’è stato qualche momento difficile?
J: Quando stavamo preparando I’ll be back, mi
sono fatto male alla spalla. Mi sono strappato il legamento glenoideo
mentre mi allenavo sulle mosse acrobatiche della coreografia. Non
riuscivo quasi a muovere il braccio. Per questo motivo Wooyoung
fu costretto a fare anche la mia parte, e mi ricordo che all’epoca ero
veramente depresso. Non potevo operarmi perché non c’era tempo, perché
una settimana dopo l’infortunio dovevamo girare il video. Mi faceva così
male che ricordo di aver preso otto antidolorifici quel giorno.
Q: Hai ancora dei problemi alla spalla?
J: Dopo aver resistito per circa due anni, stringendo i
denti, finalmente mi sono operato. Ero arrivato ad un punto in cui la
spalla quasi non mi rispondeva più. Il nervo era danneggiato così tanto
che il dolore mi arrivava alla testa. Anche dopo l’operazione, il
braccio ha recuperato solo l’80% circa della forza che aveva prima e
quando alzo le braccia al massimo, ancora mi fa male. E sono al secondo
anno di riabilitazione.
Q: Non avevi tempo per te stesso al punto di non poterti operare. Hai mai desiderato smettere di fare questo lavoro?
J: Non avrei nient’altro da fare (ride).
Quando la cosa che più ami fare diventa il tuo lavoro, può succedere. La
mia vita pubblica è cominciata abbastanza presto, e oggi come allora, i
miei amici mi dicono: “Se vuoi smettere, fallo, ma se è questo che
vuoi, non farlo e basta, fallo come si deve.” Credo che avrei le stesse
preoccupazioni anche se tutto andasse sempre liscio come l’olio. Tutte
le volte mi dico che è così e basta, e vado avanti senza rimuginarci
troppo sopra. Comunque, ora come ora, non ho nessuna intenzione di
smettere.
Q: Questo mi fa pensare ad una battuta del film Cold eyes:
“Se ti preoccupi troppo di quello che vuoi fare, non riuscirai mai a
concentrarti su ciò che devi fare”. Sono tante le situazioni in cui non
possiamo semplicemente fare ciò che vorremmo e basta.
J: Vero. Anche se avrei voglia di dormire perché sono stanco dopo un photoshoot
come quello di oggi, o magari vorrei uscire con gli amici, non sempre
posso farlo. Se decido di fare qualcosa che voglio, devo rinunciare a
qualcos’altro.
Q: Riguardo alle cose a cui hai dovuto rinunciare fino ad ora, ce n’è una in particolare per cui sei dispiaciuto?
J: Ogni tanto mi dispiace del fatto che, dal rilascio
del nostro primo singolo, sono stato in così tanti Paesi senza avere mai
la possibilità di visitare i posti in cui sono stato. Ho dovuto
rinnovare il mio passaporto già cinque volte ormai, per i troppi timbri,
ma purtroppo di quei posti ho veramente pochissimi ricordi. Credo che
all’inizio non avessi realizzato quanto questo fosse importante, forse
perché mentre alcune persone riflettono troppo sulle cose, io invece
allora non lo facevo abbastanza. Be’, dato che adesso ne ho preso
coscienza, d’ora in poi mi farò tanti bei ricordi.
Q: La tua interpretazione del detective “Scoiattolo” nel film Cold Eyes è stata un successo.
J: A dir la verità, durante il provino non ho recitato
praticamente per niente. Quando sono andato lì, mi ero operato alla
spalla da soli quattro giorni. Ero ancora gonfio di tutti i liquidi
delle flebo. Fortunatamente il regista Jo Ui Seok è stato tanto generoso
da aver fiducia in me per quel ruolo. Anche durante il provino, più che
recitare il copione, abbiamo parlato di come avrei potuto e dovuto
interpretare il mio ruolo. Cose del tipo “Scoiattolo è un soprannome
migliore di Giraffa. È meglio che sia un detective più giovane della
protagonista, piuttosto che più anziano”. E cose di questo genere.
Q: Qual è stata la sensazione che hai provato nel lasciare un
ambito dell’intrattenimento in cui eri ormai esperto e calarti in un
altro in cui eri un neofita?
J: Il momento in cui mi sono sentito più affascinato da
tutto è stato quando ho messo piede sul set per la prima volta,
piuttosto che quando ho effettivamente cominciato a recitare. Per tutto
il tempo ho continuato a fare domande agli altri attori; per la scena in
cui Scoiattolo muore, avevo serie difficoltà a capire come avrei dovuto recitare la scena. Ho chiesto a Seol Kyunggu: “Come devo morire?” e lui mi ha risposto: “Ti sembra che io sia mai morto? Come potrei saperlo?” (ride). “Devi semplicemente morire”.
Grazie a lui ho cominciato a pensare a quanto potesse essere doloroso
essere pugnalati, quindi ho provato a punzecchiarmi con una bacchetta
sul collo, e mi sono pure fatto male. Sotto la doccia continuavo a
massaggiarmi il collo. Non riuscivo a credere quanto una semplice
bacchetta potesse far male (ride)!
Q: Parlaci di Memories of the Sword, il film diretto
dal regista Park Heungshik e che vede la partecipazione di attori come
Lee Byunghun, Jeon Doyeon and Kim Goeun.
J: Memories of the Sword è un film storico che ha come protagoniste le spade ed è molto diverso da Cold Eyes.
È stato molto più difficile interpretare il mio personaggio stavolta.
Per esempio, nonostante usassimo spade giocattolo, siccome non mi
sentivo abbastanza coordinato, all’inizio ero molto rigido. Nonostante
questo è stata davvero un’esperienza interessante.
Q: Nella trama del film, Yool, il tuo personaggio, viene definito come un guerriero ambizioso. Vuoi dirci di più?
J: Sì, è così. Yool tradisce il suo mentore e che poi si innamora perdutamente di una donna.
Q: Qual è il fascino di Memories of the Sword?
J: È un film storico molto originale, unico nel suo
genere. Nella maggior parte dei film di questo filone, le guerre e la
corruzione sono al centro della storia. In Memories of the Sword
invece, il tema principale è l’amore tra uomini e donne. Nel film i
veri protagonisti sono l’amore, l’affetto e la comprensione reciproca
che fanno sì che ci si innamori perdutamente.
Q: Una volta hai detto che Jeon Doyeon (NdA: Jeon Doyeon è l’attrice protagonista del film Memories of the Sword) è davvero bellissima!
J: Mi ha davvero reso felice e grato il fatto che Jeon
Doyeon si sia presa tanta cura di me durante le riprese del film. Non è
esagerato dire che è stata un vero e proprio punto di appoggio per me.
Non erano tante le scene in cui dovevamo recitare insieme, ma lei mi
cercava sempre e diceva: “Junho, dove sei? Voglio vederti.” Qualche volta mi ha invitato a bere qualcosa con Lee Byunghun e Kim Goeun
Q: In generale ti definiresti una persona loquace?
J: Ovviamente ci sono momenti in cui non ho molto da
dire. Però se si parla di qualcosa che mi interessa particolarmente, amo
parlare. Se non ho niente da dire però, tendenzialmente resto in
silenzio.
Q: Hai detto che hai personalmente composto e prodotto tutte le tracce di FEEL, il tuo secondo mini-album prossimamente in uscita in Giappone.
J: Mi piace cantare le canzoni che ho composto io. Ho
pensato personalmente anche al video, agli outfit, all’hairstyle questa
volta. Ho trovato questo processo creativo molto stimolante, così come
discutere delle direttive di regia con il regista.
Q: Chi è il critico più inflessibile a cui sottoponi la tua musica?
J: Non sono il tipo che mostra il proprio lavoro finito
a qualcuno per chiedere direttamente un’opinione. Si può dire che
preferisco che sia il pubblico a criticare il mio lavoro? Quando finisco
una canzone, la conservo con cura. Però c’è un dipartimento alla JYP a
cui consegno il mio lavoro finito e loro mi dicono se la canzone gli
piace una volta che l’hanno ascoltata (ride).
Q: La cosa migliore che hai fatto nella tua vita.
J: L’audizione alla JYPE. È stata una sfida
imbarazzante, non avrei mai creduto che mi avrebbero scelto;
semplicemente ci ho provato credendo che sarebbe stata un’esperienza, ma
alla fine sono stato tanto fortunato da superarlo. Visto che il
risultato è stato per me così sorprendente, mi sono sempre sentito
fortunato. Da quel momento sono stato molto duro con me stesso, e mi
sono impegnato sempre al massimo.
Q: Sei d’accordo con la frase “Se non puoi vivere nel modo che avevi immaginato, vivi nel modo in cui è la tua vita adesso”?
J: Purtroppo non sempre questo mondo ci permette di
seguire i nostri desideri. Nel mio caso, quando non riesco a farlo,
cerco comunque di vivere a modo mio. In ogni caso, ho sempre il mio
cuore, e bisogna tener presente il fatto che, nei periodi in cui bisogna
fare delle rinunce, prima di ottenere ciò che si vuole è necessario
lavorare sodo. Bisogna rispondere a questa domanda: “Hai fatto tutto quello che potevi per essere soddisfatto, vero?”
Q: Che tipo di bambino sei stato?
J: Ero un bambino iperattivo. Ero sempre su di giri. Anche il mio soprannome del tempo lo testimoniava; mi chiamavano Nalssaendori (lett: proiettile veloce). Mi piaceva giocare e fare sport.
Q: Stai per intraprendere un tour di cinque date in Giappone. L’ultima delle quali al famoso Budokan.
J: È il posto in cui anche Cho Yongpil (NdA: celebre cantante sudcoreano)
si è esibito! Non è tra i posti più grandi, ma è perfetto per le
esibizioni live. E poi è un palco ambitissimo anche dagli artisti
giapponesi, quindi sono molto grato di potermi esibire lì.
Q: Hai preparato qualcosa di speciale per questo tour?
J: I concerti saranno trasmessi in alcuni cinema del
Paese. Sarà possibile guardarli mangiando comodamente i popcorn. Per
quanto mi riguarda, ho cercato di proporre un approccio ancora più
dinamico per quest’album. Il concept con cui ho pensato l’album sarà
anche quello che guiderà le esibizioni live e risponderà alla domanda: “Ragazzi, sapete come divertirvi?”
Q: A seguito dell’incidente del Sewol hai fatto una donazione all’associazione Korea Disaster Relief, e ho sentito che ti sei anche offerto volontario per produrre il film “The Terror Live”. Sei sempre stato interessato alle questioni sociali?
J: Non è una cosa che faccio con un intento
particolare. Lo faccio quando mi è possibile, e dopo l’affondamento del
Sewol ho voluto fare una donazione anonima, quindi è stato un po’
frustrante quando la cosa è diventata di pubblico dominio. Neanche la
compagnia o gli altri ragazzi lo sapevano. Mi padre lavorava su una nave
quando ero giovane. Dopo aver parlato con lui e con la mia famiglia
della questione, abbiamo fatto una donazione perché sentivamo di volerlo
fare. In linea di principio, sono d’accordo sul dare l’esempio facendo
la cosa giusta, ma stavolta proprio non volevo si venisse a sapere.
Q: Ci sono tantissime fotografie scattate negli aeroporti in
cui indossi una mascherina nera, che dà un po’ la sensazione che tu
voglia mantenere le distanze. La usi perché preferisci riservarti un po’
di privacy?
J: No, non è per quello. Ci sono volte in cui ho voglia
di metterla e basta. Non indosso quelle bianche perché mi danno
l’impressione di malattia.
Q: Ma quelle nere fanno un po’ paura.
J: Sì, ma sono più cool (ride)!
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